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Distribuzione, cosa cambia nel lusso con l'entrata in vigore del nuovo Vber. Intervista a Francesco Anglani (BonelliErede)
Il 1 giugno è entrato in vigore il nuovo VBER (Vertical Block Exemption Regulation), adottato lo scorso 10 maggio dalla Commissione Europea con l’obiettivo di aggiornare la disciplina antitrust di riferimento per la valutazione degli accordi verticali. Un testo molto atteso dagli esponenti dell’industria e della distribuzione che comporta alcune novità sostanziali specialmente per il segmento del lusso. Ce ne parla Francesco Anglani, Partner e Team Leader del Focus Team Alta Gamma di BonelliErede.
Partiamo dalle premesse
La riforma della disciplina antitrust sugli accordi verticali rappresenta un aspetto di grandissimo rilevo per il mondo del lusso. Infatti, la distribuzione dei prodotti se fino a una decina di anni fa veniva organizzata secondo l'intuito dei fondatori delle aziende, nel tempo, si è capito che è necessario assecondare i vincoli imposti dalla disciplina antitrust e che, nella maggioranza dei casi, il miglior modo per mantenere intatto il valore del brand è quello di adottare un sistema di distribuzione selettiva.
Storicamente, l’ecommerce è stata una risorsa controversa per le case di moda, per certi versi osteggiata e per altri accolta come valvola di sfogo laddove il budget preme. Ma andiamo con ordine. Il motivo per il quale il tema è diventato di grandissima attualità, e per il quale diverse aziende che operano nel settore ne fanno menzione nel loro bilancio, è perché internet è diventato un must have. Come detto, infatti, fino a 10-15 anni fa molte aziende osteggiavano le vendite online, qualcuno addirittura ci domandava se fosse possibile vietarle. Poi via via il trend è cambiato e si è capito che, piuttosto che vietarle, era necessario regolarle selezionando solo i rivenditori che avessero caratteristiche qualitative elevate.
Dal mio punto di vista è evidente questo trend. Ovviamente l'innovazione tecnologica non si ferma e diventa necessario continuare ad adeguarsi alle novità. Ad esempio, Instagram: come lo si inquadra da un punto di vista della distribuzione? In questo caso, vi è un impatto anche sulla relazione di immagine che c'è tra la casa di moda e l'acquirente. E se non è possibile evitare questo canale, che del resto rappresenta anche una possibilità di incremento delle vendite, il punto è assicurarsi che tutti questi strumenti siano gestiti in modo tale che non sviliscano il valore del marchio.
Insomma, se non puoi combatterli, meglio farseli alleati
Questo è a mio avviso l'approccio. Tutto ciò però deve necessariamente passare per un confronto e un dialogo aperto e quasi continuativo tra l’azienda (non solo l’area legale, ma anche il business e il marketing) e un consulente legale esterno esperto delle tematiche antitrust legate al mondo della distribuzione, qualcuno che non sappia solo porre paletti e dire dei ‘no’, che sarebbe sin troppo facile, ma che cerchi di trovare la strada migliore per assicurare un elevato livello di vendita dei prodotti tutelando al massimo il brand, compatibilmente con i vincoli imposti dalla disciplina antitrust.
Quali sono gli strumenti nelle mani vostre per presidiare i mercati e dare corpo alle indicazioni?
Partiamo dal principio che, dal punto di vista dell'antitrust, limitare il diritto di rivendere i prodotti rappresenta una restrizione molto grave del diritto alla concorrenza. Quando si adotta un sistema di distribuzione selettiva, è però consentito prevedere determinate restrizioni.
Ma come lo controllo?
Quando la divisione ‘brand protection’ di un’azienda rileva un rivenditore parallelo non autorizzato, è possibile risalire all’identità del distributore che ha gli ha venduto i prodotti attraverso un semplice sistema di tracciamento del prodotto, come un QR code (alcune aziende non se ne sono ancora dotate, ma è la strada del futuro). Una volta individuato il distributore autorizzato che ha fornito i prodotti al rivenditore parallelo si potrà quindi far valere nei suoi confronti la violazione contrattuale chiedendo la risoluzione del contratto, il pagamento delle penalità eventualmente pattuite e gli ulteriori danni subiti.
Premesso che alle volte sono gli stessi produttori a tollerare il parallelo perché rappresenta comunque un mezzo per fare budget. In un sistema di distribuzione selettiva è possibile imporre alcune restrizioni che consentono di controllare il fenomeno. Ad esempio, è possibile impedire di vendere più di un determinato numero di prodotti dello stesso modello ad un medesimo soggetto. Va detto dunque che laddove non si adotta la distribuzione selettiva, il parallelo è perfettamente legittimo e non può essere vietato.
Sembra che tutto sia cambiato rispetto a 20 anni fa
Allora il processo di vendita e la catena distributiva erano facilmente controllabili, c’erano solo rivenditori fisici, e comunque erano pochi, per lo più nelle grandi città. Bastava una telefonata, servivano poche accortezze e si era certi che la catena distributiva si sarebbe adeguata ai propri desiderata. Oggi, internet ha stravolto tutto e il contesto è diventato più sfidante: i rivenditori sono sempre più consapevoli dei limiti che possono o non possono essere loro imposti e i consumatori sanno dove possono acquistare risparmiando. Ci si trova di fronte a una doppia sfida: da un lato mantenere alto il valore del brand e dell'altro vendere tanto a prezzi elevati. Ci si deve quindi assicurare di essere in grado di regolare tutti questi processi, insieme a consulenti che sono in grado di consigliare le aziende su cosa si possa fare e perché, altrimenti il rischio è di sanzioni milionarie.
Del resto, molti brand sono anche stati lanciati dai rivenditori...
Assolutamente sì. Per questo tra molti di loro esiste un rapporto di lungo corso, di rispetto e di fiducia. Ho visto, nella mia esperienza personale e professionale, che alcuni rivenditori hanno continuato a essere un punto di riferimento per le aziende anche quando le performance non erano più quelle di un tempo. Questo fa onore all'azienda. Il punto vero è: perché quel rivenditore non è più stato in grado di mantenere quel livello di fatturato? Alle volte ritengo che ciò sia riconducibile all’incapacità di cogliere le opportunità che il cambiamento tecnologico ha portato con sé.
E ora entra in vigore il nuovo regolamento. In che tempi le aziende si dovranno adeguare?
E’ previsto un periodo transitorio: i contratti già in essere avranno tempo fino al 31 maggio 2023 per adeguarsi alla nuova disciplina, mentre i contratti conclusi successivamente al 1° luglio 2022 dovranno essere già conformi al nuovo VBER. La tempistica per il lusso ha poca rilevanza, perché la durata dei contratti nella moda è spesso semestrale, in quanto legati alle campagne vendita. Due volte l’anno, infatti, si sottoscrivono nuove condizioni di vendita che a questo punto dovranno essere adeguate alle nuove disposizioni. In ogni caso, aggiornamento e adeguamento vanno fatti nel più breve tempo possibile, altrimenti si rischia di essere in contrasto con la disciplina.
Cosa cambia?
Innanzitutto, negli ultimi anni abbiamo registrato come la disciplina antitrust sia diventata sempre più rilevante per il mondo del lusso, a maggior ragione in seguito al successo dell’e-commerce. Molte frizioni tra le case di moda e le autorità antitrust europee sono infatti spesso riconducibili all’esigenza di quest’ultime di limitare l’e-commerce che mal si conciliava con la volontà delle prime di salvaguardare il canale di vendita online rispetto a quello fisico. Tali attriti trovano oggi composizione nel fatto che la Commissione europea, da una parte, ha rilevato come l’online non venga più osteggiato dalle aziende dell’alta moda, e dunque non spinge più verso una sua indiscriminata tutela e, dall’altra, è disponibile ad accettare restrizioni che fino ad oggi pensava fossero lesive per la concorrenza. Al netto delle regole, questi sono i passaggi importanti. La novità è cruciale per il lusso perché la distribuzione incide direttamente sul brand e sulla tutela del brand a livello distributivo.
Le parti sono addivenute a più miti pensieri.
E’ abbastanza vero che in qualche misura è stata la Commissione ad andare incontro ai brand piuttosto che il contrario, ma lo ha fatto dopo che ha capito che i brand non erano più concentrati in una battaglia ‘ideologica’. La verità è che il nuovo regolamento disciplina e in qualche misura a volte consente ipotesi che fino a un po' di tempo fa non erano ammesse. Oggi vediamo un mondo nel quale la distribuzione dei prodotti è “omnichannel”. La minore rigidità della Commissione, in sintesi, è figlia della altrettanta minore rigidità dei brand nei confronti dell’online.
Insomma un mondo di nuove opportunità
In questo senso mi riferisco soprattutto al dual price. La Commissione infatti prima stigmatizzava l’applicazione di prezzi all’ingrosso diversi a seconda che il prodotto dovesse essere venduto online o offline perché si temeva che ciò potesse costituire un ostacolo o comunque un disincentivo al ricorrere al canale online per vendere i prodotti. Oggi ci si rende conto che l’online non ha più bisogno di essere protetto rispetto all’offline. Anzi, la Commissione accetta oggi anche l'idea che le vendite nei negozi fisici possano dover essere tutelate dal free riding di alcuni rivenditori online. La forbice di prezzo, ovviamente, deve essere ‘ragionevole’, altrimenti si tratterebbe di un limite indiscriminato alle vendite online.
Altro tema importante riguarda i market place: si giunge a dire che il marketplace può essere vietato anche a prescindere dalla selettiva. Prima non era possibile. Queste sono le due principali opportunità. Ce ne sono anche altre come per esempio la shared exclusivity (ossia la possibilità di nominare più distributori esclusivi, fino a un massimo di cinque, nel medesimo territorio) così come la possibilità nei sistemi esclusivi e selettivi di potere imporre agli acquirenti indiretti quelle restrizioni che fino a ieri si potevano imporre solo ai distributori che acquistavano i prodotti direttamente dal brand.
Per ridurre il fenomeno del parallelo?
Per essere precisi, per ridurre il fenomeno del free riding dell'esclusiva, ossia il rischio di elusione dell’esclusiva e certamente anche del parallelo, la normativa prevede la possibilità di imporre anche i clienti del rivenditore (acquirenti indiretti) le medesime restrizioni che l’azienda impone al rivenditore stesso.
Limiti della nuova normativa?
Il principale limite riguarda il tema della dual distribution. Molti brand operano sia attraverso le vendite dirette sia attraverso distributori. Quando si monitorano le informazioni commerciali dei propri retailer, da una parte ci si assicura l’efficienza della catena distributiva, la qualità e tutti quegli aspetti che contribuiscono alla tutela del sistema e del brand in ultima istanza. Ma, d'altro canto, si chiedono informazioni ai competitor. La Commissione interviene dunque dicendo che la dual distribution non è vietata, ma ci si deve assicurare che lo scambio di informazioni tra i due soggetti avvenga in modo adeguato e che le stesse non possano essere messe a disposizione del brand laddove il brand stesso è in competizione con i suoi distributori a livello retail. La chiave da un lato è stare attenti alle informazioni che si chiedono e dall'altro, diventa sempre più importante avere internamente all'azienda protocolli atti a evitare che le informazioni circolino indiscriminatamente.
Le aziende che dovranno intraprendere le attività di revisione a che punto sono?
Sono abbastanza indietro. Il regolamento, tutto sommato, è stato pubblicato pochi giorni fa ed entra in vigore oggi: non ha lasciato alle aziende tanti mesi per discutere delle modalità di ottemperanza allo stesso. Nel futuro, ci sarà una fervida attività di monitoraggio interna all’azienda e una spinta alla compliance al regolamento, soprattutto perché la Commissione, forse saggiamente e non so se del tutto a caso, nelle ultime settimane sembra essere molto attiva nel monitorare le aziende del lusso. E faccio riferimento all’ispezione recente, e qualche mese prima a quella nei confronti della Pierre Cardin (vedi qui) in relazione a restrizioni concorrenziali nei contratti di distribuzione e licenza. Quest’attenzione da parte della Commissione e il rischio di sanzioni elevatissime indurrà le aziende a cercare di mettere a posto le cose.