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Il mercato dell'arte, tra gap digitale da colmare e presenza da ritrovare

L'arte post covid viaggia alla ricerca di un nuovo equilibrio, tra un gap digitale da colmare e una esperienza 'in presenza' da ritrovare. Se ne è parlato in occasione di un talk, organizzato all’interno della rassegna ‘Tempo di Rinascita - Scenari, idee, progettualità’, ideata da Doc-Com per riflettere a più voci sul mondo che sta cambiando. "Il 31% dei musei non ha un profilo social, il 48% non ha un sito mobile-friendly e il 53% non ha un sito web esclusivo. Le percentuali salgono se ci si posta verso strumenti come il CRM informatizzato, non presente nel 64% dei musei, il sistema di e-ticketing, che risulta assente nell’80% dei casi, arrivando addirittura al 91% dei musei che non sono dotati di un sistema automatizzato a supporto dell’e-commerce. Questi i numeri che snocciola da Stefano Monti, partner del gruppo Monti&Taft, che sottolinea in particolare la necessità di partire dall’uso di tecnologie e strumenti già conosciuti e a disposizione, ma ancora poco o quasi affatto utilizzati. "Cultura e turismo hanno ampi margini di miglioramento. Se riescono a cogliere le giuste opportunità, saranno necessariamente dei settori tra i più produttivi e con maggior capacità di assorbimento delle risorse umane del nostro Paese. Altro che 'si mangia', con la cultura si cresce".

La digitalizzazione aiuterà anche un mercato che sta vivendo un momento difficile: "Siamo nel mezzo di una crisi vigorosa. Secondo l’economista Donald Thompson, 1/3 delle gallerie rischia di chiudere, mentre i giganti del settore, come le case d’asta e le fiere, non riusciranno ad avvicinarsi ai fatturati degli anni scorsi con le sole vendite on-line" evidenzia l'esperto Giacomo Nicolella Maschietti. "Per fare un esempio, il fatturato on line di Sotheby’s, nel 2019, ha costituito solo un 2% del fatturato totale, mentre l’edizione digitale di Art Basel di Hong Kong ha realizzato vendite per 80 milioni di dollari, una cifra di gran lunga inferiore rispetto agli standard". Si assisterà, a suo avviso, a "una selezione naturale di aziende non sane. E il digitale, finora poco e male utilizzato (ancora a febbraio alcune tra le maggiori realtà di settore continuavano a ritenere Instagram un canale non necessario) acquisirà sempre più valore. Per la comunicazione e per la diffusione di contenuti, ma anche per le vendite, esattamente come già anticipato da altri settori, moda e lusso in testa. Ma, soprattutto, il digitale sarà un vero e proprio materiale per la creazione di contenuti: se Michelangelo, nel Cinquecento, sceglieva accuratamente il marmo della Versilia per le sue opere, oggi il digitale può trasformare qualsiasi pensiero immateriale un’opera d’arte".

Ma di solo digitale non si vive. "Ha fatto molto discutere la provocazione del direttore di Art Basel Marc Spiegler, che ha agitato lo spettro di una sorta di Amazon Art per sostenere la ripresa" sottolinea Stefano Baia Curioni, direttore della Fondazione Palazzo Te. "Credo invece che la svolta per uscire dall’impasse in cui la pandemia ci ha lasciati sia proprio in una nuova modalità di entrare in contatto con le opere d’arte, un nuovo modo di immaginare la presenza". "Diventa indispensabile - afferma - un cambiamento organizzativo in chi si occupa di arte, oltre a un’apertura diversa ai temi dell’educazione e della prossimità, per essere presenti nella vita dei cittadini. Contemporaneamente il lavoro interstiziale di musei, fondazioni e gallerie che sapranno restare vicino al pubblico, creerà terreno fertile per coinvolgere i fruitori in attesa della ripartenza del settore. Investire sulla qualità della presenza diventa quindi il tema della ripresa, una presenza che significa saper stare nel tempo, in un determinato istante, e che così diventa dono".

Necessaria ma non sufficiente la digitalizzazione per Tommaso Tisot, collezionista, avvocato esperto in diritto dell’arte e Presidente di Professional Trust Company: "sono convinto che bisogna riportare l’arte in galleria, in strada, a contatto con le persone. C’è bisogno di una maggiore e rinnovata umanità, anche per dialogare con i più giovani che subiscono un approccio difficoltoso e poco coinvolgente alle stanze dell’arte". E se quanto è accaduto ci può servire a riflettere, a "ripensare al sistema dell'arte nel suo complesso", certo è che "fiere ed eventi minori dove scoprire piccole realtà che il collezionista, nel mio modo di vedere, ha anche il compito di sostenere, acquisiranno sempre maggior rilevanza accanto ai grandi appuntamenti di massa".

E il futuro dei luoghi dell’arte? Per creare nuove opportunità di fruizione bisognerà anche portare l’arte in territori inesplorati. È quello che sostiene l’architetto Stefano Gris, partner dello studio Gris+Dainese, specializzato nella progettazione di spazi museali. "Quegli spazi finora immaginati come non-luoghi possano diventare aree dedicate alla fruizione artistica. Il nostro obiettivo – spiega Gris – è creare uno spazio in cui il racconto che metteremo in scena spingerà il fruitore a riflettere su temi che si sviluppano a livello globale. Dove andranno quindi nei mesi a venire la cultura, l’arte e i musei? Andranno a occupare anche quegli spazi che, avendo un passaggio elevato di persone, è auspicabile possano assumere le sembianze di luoghi dedicati alla cultura. Proprio in questo periodo stiamo lavorando a un progetto che coinvolge un grande player della Gdo che ci ha chiesto la realizzazione di spazi espositivi e interattivi in cui avvicinare i fruitori a riflettere su temi culturali legati all’azienda".

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