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Mar Rosso, Confindustria Moda: "crisi c'è anche se ancora non si vede"
Pilotti: "rischio stagflazione"
Anche se al momento la crisi nel Mar Rosso non desta particolari preoccupazioni al comparto moda, se la situazione dovesse protrarsi ulteriormente, le ricadute potrebbero essere molto preoccupanti. Lo afferma Annarita Pilotti, presidente di Confindustria Moda, secondo cui, la vicenda, già drammatica dal punto di vista umanitario, "analizzata dalla prospettiva del manifatturiero moda italiano, cui i nostri settori appartengono, ci fa tornare in mente la fase post Covid, nel 2021, segnata dalle strozzature nella logistica e dal rincaro dei costi di gas ed energia elettrica. La crisi c’è, ma non si vede ancora". Ad avviso di Pilotti, "è infatti troppo presto per avere dati puntuali sulle conseguenze che dovranno affrontare le piccole e medie imprese che noi rappresentiamo, e che stanno cercando di capire come agire e reagire".
Per comprendere gli effetti che la crisi avrà sui prezzi delle merci che viaggiano tramite nave "basta guardare il grafico del WCI (World Container Index) elaborato da Drewry, che traccia il costo del trasporto per i container da 40 piedi, l’unità di misura principale. Da inizio dicembre, quando si sono intensificati gli attacchi Houthi, l’andamento dei noli marittimi dall’Asia verso l’Europa e il Mediterraneo si è impennato: i prezzi dei trasporti da Shanghai a Genova sono quasi triplicati (da 1.373 a 5.213 dollari) e hanno fatto quasi altrettanto (da 1.171 a 4.406 dollari) per Rotterdam".
SPEDIZIONI CONTAINER PIU' CARE DEL 231% RISPETTO A INIZIO GENNAIO
Ma anche "l’export è un problema: la moda italiana è desideratissima all’estero in diversi mercati. Da alcuni report emerge che la spedizione di un container dai porti di Napoli, Genova e Trieste verso Shanghai è più cara del 231% rispetto ai primi di gennaio (a prima, cioè, del bombardamento coordinato da Usa e Regno Unito alle postazioni della formazione armata Houti nello Yemen e della conseguente crescita di attacchi militari sul Mar Rosso). L’impatto sulla logistica è evidente: per non lasciar passare le navi davanti allo Yemen e far loro percorrere la traiettoria dal Capo di Buona Speranza, i viaggi si allungano di circa 15 giorni con un maggior costo in termini di carburante e polizze assicurative; le navi, puntando sui porti del Nord Europa invece che su quelli del Mediterraneo, danneggiano ulteriormente la nostra economia. E aumenteranno, di conseguenza, anche i costi energetici: da inizio anno il prezzo del petrolio BRENT segna il +3,04%, e va di concerto con quello del gas sulla Borsa di Amsterdam".
TRASPORTO NAVALE NEL GOLFO PERSICO 16% DELLE IMPORTAZIONI ITALIANE
"Il bollettino di gennaio di Banca d’Italia - ricorda ancora il presidente di Confindustria Moda- sottolinea come questa crisi, che rappresenta un rischio per tutta l’importazione italiana, sia problematica. Il trasporto navale in quelle acque riguarda quasi il 16% delle importazioni italiane di beni in valore. Nello specifico della filiera moda, su questa rotta transita un terzo delle importazioni (i beni dalla Cina, secondo mercato di approvvigionamento per l’Italia dopo la Germania, dalle altre economie dell’Asia orientale e dai paesi del Golfo Persico esportatori di materie prime energetiche)". Un grave problema è rappresentato dalle schede elettroniche e sugli apparecchi elettrici: oltre la metà dell'import extra-UE di questi prodotti viene dalla Cina e sono necessari per la produzione delle aziende manifatturiere".
RISCHIO STAGFLAZIONE
Insomma il rischio "è quello della stagflazione, fenomeno economico temutissimo perché combina stagnazione, inflazione e disoccupazione"